LETTURA SCRITTURA

Osservazioni su letteratura, scrittura e testi, fuori e dentro la Rete

Giornalisti con la passione per la letteratura

Leggo per la prima volta un volume di qualche anno fa, Letteratura e giornalismo di Alberto Papuzzi, un tascabile dallo stile asciutto che riflette sulle interconnessioni tra mondo letterario e mondo della stampa. Uscito per la collana Alfabeto letterario, progetto di Laterza nato per fornire in poche pagine "preziosi strumenti di informazione", è una sorta di "bignami" della terza pagina, senza teoria, con alcuni nomi significativi e l'abbozzo delle loro esperienze. Un volumetto agile che non intende restituire la ricchezza delle esperienze dei singoli protagonisti ma descrivere con piccoli tocchi un'altra storia del giornalismo, fatta di letterati-giornalisti e di giornalisti dalla scrittura letteraria.

Alberto Papuzzi fa partire il suo libro da un aneddoto della metà degli anni Sessanta su Tom Wolfe, giornalista alle prime armi poi diventato scrittore di successo, incaricato dallo "Herald Tribune" di scrivere per il supplemento domenicale. Per redigere una notizia sul carcere femminile di New York, Wolfe utilizzò uno stile narrativo, scrivendo un articolo come un racconto, concedendosi licenze prima di allora intollerabili per un quotidiano e inventando un genere nuovo: il "new journalism". Come sottolinea Papuzzi, nel periodo in cui la critica suonava la marcia funebre del romanzo, Wolfe riuscì ad inventare un linguaggio giornalistico che proprio da quella forma di narrazione traeva ispirazione; un modo nuovo di raccontare la notizia che conquistò altri importanti autori come Truman Capote, Gay Talese e Norman Mailer. Leggo per la prima volta un volume di qualche anno fa, Letteratura e giornalismo di Alberto Papuzzi, un tascabile dallo stile asciutto che riflette sulle interconnessioni tra mondo letterario e mondo della stampa. Uscito per la collana Alfabeto letterario, progetto di Laterza nato per fornire in poche pagine "preziosi strumenti di informazione", è una sorta di "bignami" della terza pagina, senza teoria, con alcuni nomi significativi e l'abbozzo delle loro esperienze. Un volumetto agile che non intende restituire la ricchezza delle esperienze dei singoli protagonisti ma descrivere con piccoli tocchi un'altra storia del giornalismo, fatta di letterati-giornalisti e di giornalisti dalla scrittura letteraria. Alberto Papuzzi fa partire il suo libro da un aneddoto della metà degli anni Sessanta su Tom Wolfe, giornalista alle prime armi poi diventato scrittore di successo, incaricato dallo "Herald Tribune" di scrivere per il supplemento domenicale. Per redigere una notizia sul carcere femminile di New York, Wolfe utilizzò uno stile narrativo, scrivendo un articolo come un racconto, concedendosi licenze prima di allora intollerabili per un quotidiano e inventando un genere nuovo: il "new journalism". Come sottolinea Papuzzi, nel periodo in cui la critica suonava la marcia funebre del romanzo, Wolfe riuscì ad inventare un linguaggio giornalistico che proprio da quella forma di narrazione traeva ispirazione; un modo nuovo di raccontare la notizia che conquistò altri importanti autori come Truman Capote, Gay Talese e Norman Mailer. Facendo un balzo indietro nella storia delle reciproche influenze tra giornalismo e letteratura, Papuzzi individua il momento esatto in cui la notizia acquisì i suoi caratteri fondamentali. Stiamo parlando degli anni Trenta del Ottocento, quando i giornali ancora potevano essere assimilati a bollettini di informazioni, puntellati da una sovrabbondanza di avvisi pubblicitari. Fortemente influenzati dal potere politico, i quotidiani erano destinati a un pubblico ristretto, una borghesia ricca che poteva permettersi l'acquisto di una copia a 6 centesimi. In questo panorama, a segnare la svolta fu l'iniziativa di Benjamin Day che nel 1833 fondò The New York Sun, il primo giornale "low cost" venduto a solo 1 centesimo. Un'operazione editoriale che, emulata da altri imprenditori della carta stampata, divenne un fenomeno di portata nazionale, la "penny press", i giornali da un centesimo di dollaro (penny). Il dato più evidente fu che in dieci anni il numero di quotidiani statunitensi raddoppiò mentre le tirature quadruplicarono, tuttavia non si trattò di una mera questione di numeri. Con l'obiettivo di incontrare i desideri e la curiostià di un bacino più ampio di lettori, la cronaca divenne la nuova dimensione della notizia, con i suoi resoconti provenienti dai distretti di polizia, dalle aule dei tribunali e dalle strade delle città. Un genere trasversale alle classi sociali e ai livelli culturali che conquistò dignità pari a quella degli eventi politici e istituzionali. Allontanadosi dal tema centrale del volume, l'autore segnala un altro passaggio decisivo nella storia della stampa, la pubblicazione di saggio uscito nel 1893 su The Arena. Nell'intervento si spiegava che la vocazione della stampa moderna doveva essere quella di separare i fatti dalle opinioni, affermando con grande determinazione: «Il mondo si è stancato di prediche e sermoni; oggi chiede i fatti. Si è stancato di fate e angeli e chiede carne e sangue». Con l'articolo si benediva una trasformazione in atto che vedeva il mutare del profilo del giornalista: da cronista ignorante e avventuroso a reporter giovane, ambizioso e istruito con un talento spiccato nella ricerca della notizia e una tecnica asciutta ma sofisticata per raccontarla. Proprio a questa nuova categoria di professionisti appartennero molti personaggi poi passati alla letteratura, come Theodore Dreiser o Jack London, e a rappresentare questa storica evoluzione nel giornalismo fu proprio uno scrittore, Henry James, in due racconti: Il riflettore (1888) e I giornali (1903). E in Italia? L'excursus disegnato da Alberto Papuzzi non dimentica gli intellettuali nostrani. L'autore ricorda Benedetto Croce che nel suo breve saggio Il giornalismo e la storia della letteratura (1910) inserì la cronaca, anche quando di altissimo livello, nella categoria degli "espedienti pratici", perciò lontano dall'Arte, oppure Antonio Gramsci, che vide nel giornalismo l'antidoto alla ridondanza di certa prosa di matrice dannunziana. La prosa forbita dei giornalisti italiani, letterati prestati alla cronaca come Indro Montanelli e Luigi Barzini jr., fu considerata da molti come un'ipoteca per lo sviluppo di una moderna scienza dell'informazione, ma non impedì il sorgere di alcune brillanti eccezioni come Curzio Malaparte, giornalista per La Stampa e Il Corriere della sera, oppure l'affermarsi di un linguaggio innovativo come quello promosso dal quotidiano Il Giorno. Tra gli altri esempi italiani citati, quello di Arrigo Benedetti, prima romanziere poi giornalista, che con uno stile empatico e sensazionalista portò una ventata di innovazione nello stile dei settimanali, fondando prima L'Europeo (1945) poi L'Espresso (1955). In un capitolo separato, chiudono il volume tre casi di reportage dagli stili diversi, a firma di importanti intellettuali italiani: L'URSS raccontata da Italo Calvino; il Vietnam di Oriana Fallaci; l'allunaggio per Alberto Moravia. Lo stile adottato da Papuzzi per la narrazione risente anch'esso, come i casi citati, delle contaminazioni di questi due universi, quello letterario e quello giornalistico, ma soprattutto porta il segno dell'esperienza didattica dell'autore presso la scuola di giornalismo di Perugia. Una caratteristica, quest'ultima, che fa di questo volume un'utile strumento introduttivo a un tema ricco di spunti per l'approfondimento.
Facendo un balzo indietro nella storia delle reciproche influenze tra giornalismo e letteratura, Papuzzi individua il momento esatto in cui la notizia acquisì i suoi caratteri fondamentali. Stiamo parlando degli anni Trenta del Ottocento, quando i giornali ancora potevano essere assimilati a bollettini di informazioni, puntellati da una sovrabbondanza di avvisi pubblicitari. Fortemente influenzati dal potere politico, i quotidiani erano destinati a un pubblico ristretto, una borghesia ricca che poteva permettersi l'acquisto di una copia a 6 centesimi. In questo panorama, a segnare la svolta fu l'iniziativa di Benjamin Day che nel 1833 fondò The New York Sun, il primo giornale "low cost" venduto a solo 1 centesimo. Un'operazione editoriale che, emulata da altri imprenditori della carta stampata, divenne un fenomeno di portata nazionale, la "penny press", i giornali da un centesimo di dollaro (penny). Il dato più evidente fu che in dieci anni il numero di quotidiani statunitensi raddoppiò mentre le tirature quadruplicarono, tuttavia non si trattò di una mera questione di numeri. Con l'obiettivo di incontrare i desideri e la curiostià di un bacino più ampio di lettori, la cronaca divenne la nuova dimensione della notizia, con i suoi resoconti provenienti dai distretti di polizia, dalle aule dei tribunali e dalle strade delle città. Un genere trasversale alle classi sociali e ai livelli culturali che conquistò dignità pari a quella degli eventi politici e istituzionali. Allontanadosi dal tema centrale del volume, l'autore segnala un altro passaggio decisivo nella storia della stampa, la pubblicazione di saggio uscito nel 1893 su The Arena. Nell'intervento si spiegava che la vocazione della stampa moderna doveva essere quella di separare i fatti dalle opinioni, affermando con grande determinazione: «Il mondo si è stancato di prediche e sermoni; oggi chiede i fatti. Si è stancato di fate e angeli e chiede carne e sangue». Con l'articolo si benediva una trasformazione in atto che vedeva il mutare del profilo del giornalista: da cronista ignorante e avventuroso a reporter giovane, ambizioso e istruito con un talento spiccato nella ricerca della notizia e una tecnica asciutta ma sofisticata per raccontarla. Proprio a questa nuova categoria di professionisti appartennero molti personaggi poi passati alla letteratura, come Theodore Dreiser o Jack London, e a rappresentare questa storica evoluzione nel giornalismo fu proprio uno scrittore, Henry James, in due racconti: Il riflettore (1888) e I giornali (1903). E in Italia? L'excursus disegnato da Alberto Papuzzi non dimentica gli intellettuali nostrani. L'autore ricorda Benedetto Croce che nel suo breve saggio Il giornalismo e la storia della letteratura (1910) inserì la cronaca, anche quando di altissimo livello, nella categoria degli "espedienti pratici", perciò lontano dall'Arte, oppure Antonio Gramsci, che vide nel giornalismo l'antidoto alla ridondanza di certa prosa di matrice dannunziana. La prosa forbita dei giornalisti italiani, letterati prestati alla cronaca come Indro Montanelli e Luigi Barzini jr., fu considerata da molti come un'ipoteca per lo sviluppo di una moderna scienza dell'informazione, ma non impedì il sorgere di alcune brillanti eccezioni come Curzio Malaparte, giornalista per La Stampa e Il Corriere della sera, oppure l'affermarsi di un linguaggio innovativo come quello promosso dal quotidiano Il Giorno. Tra gli altri esempi italiani citati, quello di Arrigo Benedetti, prima romanziere poi giornalista, che con uno stile empatico e sensazionalista portò una ventata di innovazione nello stile dei settimanali, fondando prima L'Europeo (1945) poi L'Espresso (1955). In un capitolo separato, chiudono il volume tre casi di reportage dagli stili diversi, a firma di importanti intellettuali italiani: L'URSS raccontata da Italo Calvino; il Vietnam di Oriana Fallaci; l'allunaggio per Alberto Moravia. Lo stile adottato da Papuzzi per la narrazione risente anch'esso, come i casi citati, delle contaminazioni di questi due universi, quello letterario e quello giornalistico, ma soprattutto porta il segno dell'esperienza didattica dell'autore presso la scuola di giornalismo di Perugia. Una caratteristica, quest'ultima, che fa di questo volume un'utile strumento introduttivo a un tema ricco di spunti per l'approfondimento.

 
 
 

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